mercoledì 21 gennaio 2015

RICORDI IN CARTOLINA


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RICORDI IN CARTOLINA
L'esondazione del fiume Severo nell'estate del 2014 allagò la mia cantina. Svuotandola buttai via le cose più rovinate, prima però, cercai di recuperare le mie collezioni giovanili ed esse mi regalarono ricordi passati, così lontani, d’averli dimenticati. La scatola delle cartoline ERA una grossa raccolta di retrostanti paesaggi ed immagini non più in uso di un tempo che fu. 
Sbiadite, consumate, una all'altra appiccicate, tenevano imprigionata tutta l'umidità che gli attribuiva un odore stantio e le rendeva sgradevoli alla manualità. Sfogliandole mi accorsi che alcune di esse le avevo numerate, alcune non erano mai state utilizzate altre, le più curiose, portavano simpatici messaggi e saluti. Passandole scorrevo veloce lo sguardo sul loro contenuto e su quelle che riuscivano a catturarmi, mi soffermavo e riguardando immagini o il testo, mentre sorpresa esclamavo: “ah già, mi ricordo di…..”.
Che peccato averle perse: erano un vero viaggio nei ricordi della mia infanzia, un viaggio nella storia della comunicazione degli ultimi 50 anni, con immagini che andavano dal bianco e nero al colore, dai paesaggi brulli a quelli più urbanizzati, per non parlare dei diversi stili con i quali ci si esprimeva. Le cartoline più vecchie avevano francobolli della Repubblica Italiana: la serie Siracusana, raffigurava il profilo di una giovane donna incoronata con la corona muraria, il cui volto appariva in primo piano, quasi volesse uscire dal cerchio d'alloro che la conteneva, con una scritta in basso “POSTE REPVBBLICA ITALIANA". Quei francobolli colorati raccontavano anche il peso dell'inflazione che a partire dal 1960 fece passare il costo della spedizione da 25 lire di colore viola, alle 40 lire di colore rosa, alle 60 lire di colore blu, fino agli anni 80 con i francobolli da 300 lire che raffiguravano temi diversi, i miei riproducevano dei “Castelli”.
Anche le calligrafie mutavano negli anni andando dalle rotondeggianti e tremolanti grafie elementari a quelle sempre più caratteriali, le quali da sole erano il biglietto da visita che preannunciavano il mittente e dicevano : alla bambina…. alla ragazza…., alla signorina….. ecc.
Oggi la poca posta che ricevo é scritta a macchina ed ogni volta, indifferente e senza un brivido d’eccitazione, vado a leggere per prima cosa il mittente e solo dopo averlo scoperto provo delle vaghe emozioni ben dissimili da ciò che sperimentavo quando, riconosciuta la scrittura dello scrivente, il mio cuore batteva così forte da nascondere qualsiasi altro rumore nell’ambiente, soprattutto se essa preannunciava il messaggio che impazientemente aspettavo.
La lunga cassetta postale in cui ricevevo la corrispondenza, era fissata al muro ed era troppo in alto per la mia statura, era suddivisa in 8 caselle numerate tante quante erano gli appartamenti del mio palazzo, avevano una serratura facilmente scassinabile sullo sportello numerato e di quelle otto caselle la mia era il n. 2 poichè corrispondeva al n 2 del mio appartamento posto al primo piano.
Non essendo sufficientemente alta da poter vedere se sul fondo della cassetta vi era posto un messaggio, in punta di piedi aprivo lo sportello, poi passando la mano al suo interno, cercavo di perlustrare al tatto tutto il fondo fino in fondo assicurandomi di prelevarne il contenuto. Curioso è stato accorgersi che questo gesto lo faccio ancora, inconsapevolmente, quando devo prendere qualcosa da un cassetto nonostante veda che è vuoto.
Invece nei giorni in cui ero certa che stava per giungermi della corrispondenza, dalla finestra della mia cameretta stavo di vedetta in attesa del custode, che ogni pomeriggio intorno alle 15 passava di lì, per ritornare in guardiola, dopo aver recapitato tutta la corrispondenza di tutte le famiglie dei 3 palazzi che componevano il cortile. Non appena lo riconoscevo, di corsa mi precipitavo giù  per le scale ma se la mia cassetta era vuota, delusa guardavo immobile la cassella  rigonfia di posta che sbordava dalla fessura del solito vicino; e mentre l’invidia e la delusione crescevano, mi domandavo come facesse ad avere così tanta corrispondenza, credevo avesse un trucco a me oscuro.
In verità ai miei amici non piaceva molto scrivere, ed in vacanza, era pure costoso spedire tutte quelle lettere/cartoline. Le mance estive venivano sempre suddivise tra gelati, souvenir e cartoline… e qualche volta il gelato saltava, un souvenir veniva dimenticato o: “a lei nooo quest’anno non scrivo”. La cartolina, benché mi piacesse per la foto che verso gli anni ottanta era sempre più accompagnata da personaggi divertenti, aveva contenuti limitati con frasi di circostanza o saluti e baci perchè mi avevano insegnato non si doveva superare le 5 parole; in alternativa ad essa esisteva un’altra cartolina di colore gialla il cui costo di spedizione era superiore e la rendeva una via di mezzo tra la lettera e la cartolina illustrata, qui si poteva scrivere testi più lunghi su entrambe le facciate,  si chiamava cartolina postale ed era proprio brutta, inutile per me che avendo una scrittura grande e voluminosa: non le ho mai usate ne ricevute. Penso che questo tipo di corrispondenza perse negli anni il suo utilizzo, di fatto, sulle cartoline illustrate si cominciò ad essere piene e pasticciate da prima facendole firmare ad altre persone le quali iniziarono a scrivere a loro volta messaggi od arricchirle con  disegni e colori. Nella raccolta trovai cartoline con messaggi allusivi oppure così palesi da non lasciare dubbi sul loro contenuto che certamente non avrei mai voluto che “tutti” conoscessero:
Riviera Jonica 1973: “Tanti saluti dal tuo affezionatissimo” Mario “tuo affezionatissimo”? a 13 anni era mettere in piazza i propri sentimenti e poi a questo Mario io non ero affezionatissima.
Sperlonga 1977 scritto in grande e grosso: “Baci ed un ciao” A 18 anni le parole hanno la loro importanza ma la forma del carattere, a volte, di più. E quello scritto aveva sì il suo peso. Infatti nel 1982 mi riscrisse da Marina di Massa sempre con la sua grande e chiara calligrafia: “Purtroppo non sono in ferie ma gita di lavoro Salutoni (ed in piccolo piccolo) Baci” E. Quel “baci” scritto in piccolo, piccolo mi aveva intristito, ma per fortuna c'era ancora. Per onor di cronaca poco tempo dopo in una lettera mi parlava di un nuovo amore conosciuto proprio lì.
Agrigento 1977: “Col sale sulle labbra, il sole cocente, l’acqua limpida e la mia abbronzatura Ti ricordi di me vero?” B. Cavoli non riesco a decifrare la firma e proprio non lo/la ricordo.
Gorizia 1978: “Non vedo l’ora di rivederti per stare un poco con te. Non imbastardirti troppo coi calabresi. Non stare in pensiero che presto torno. Ti auguro tante belle cose Arturo". Arturo era un amico di mio fratello. Lui mandò questa cartolina intestata ad entrambi ed io lo screditai a raffica. Non ricordo se in quegli anni frequentassi dei calabresi o mi piacesse un calabrese, chissà forse più avanti lo riscoprirò nei miei diari ed ovviamente nelle lettere che ancora conservo .
Mazzo di fiori 1979: “ciao, spero che non mi hai già dimenticato io ricorderò sempre quel giorno trascorso insieme e forse tu hai fatto sì che io conoscessi la felicità….." non c'è la firma, ma io ricordo ancora chi mi scrisse. Arrivai alla stazione di Foggia e avevo il prossimo treno per Napoli alle 3 di notte. Io e Marygrass quell’anno volevamo fare qualcosa di speciale, qualcosa che avremmo ricordato, qualcosa che ci avrebbe stupito. Cogliendo l’occasione di partecipare ad un matrimonio per le vacanze di Natale, organizzammo un giro in meridione facendo 2 tappe obbligatorie ed una di queste era  Napoli. Avevamo comprato un biglietto chilometrico: 5000 km da usare in tre mesi su tutta la linea ferroviaria italiana. Partimmo da Milano e andammo, per la cerimonia nuziale a Minervino Murge in Puglia, poi avevamo deciso di girare il Gargano, ma non avevamo fatto i conti con il periodo invernale e la mancanza di turismo, non eravamo in Liguria ed il paesaggio si rivelò deserto. Per 2 giorni viaggiammo di notte per poter dormire sui treni mentre di giorno sostavamo in una città. Arrivati a Foggia 2 ragazzi si avvicinarono e attaccarono bottone. Fu una giornata divertente, ci fu subito un’alta empatia e prima di lasciarci si scambiammo gli indirizzi, uno di loro mi diede quello della caserma dove stava svolgendo il servizio militare. Ci scrivemmo per 6 mesi, poi lui, finito il servizio militare, mi comunicò che aveva una ragazza e non voleva illudermi scusandosi per non avermelo mai detto. Io non capii le scuse. In quel periodo mi piaceva credere nel "libero amore" ed essendo il nostro un legame epistolare perché sentirsi in colpa per un tradimento che per me non era tale? Mi sentivo amareggiata sapevo che avrei perso un amico non avendomi dato il suo nuovo indirizzo, mi piaceva la nostra corrispondenza, mi piaceva la complicità che si era creata, mi spiaceva di doverla troncare, ma la persi!
Parigi 1987: “un bacione dalla nostra città”. Qui potrei aprire un libro intero. 1987! La nostra, relazione era terminata da più di un anno, ma non la nostra amicizia. Io avevo un nuovo compagno, lui un nuovo amore. Non lo sentivo da mesi quando ricevetti inaspettatamente la sua cartolina e sorrisi. Pensai di essere ancora nei suoi pensieri, pensai al piacere di avere un po' d'ammirazione, pensai a quegli amori impossibili che razionalmente si accettano finiti, ma che un piccolo zampillo può far riaccenderne una passione. Nel 2011 lo rincontrai dopo 25 anni e una delle prime cose che mi disse fu della sua vacanza a Parigi e della cartolina che mi scrisse. Io commentai che sarà stato bello e chiesi altre cose della sua vita. Mi sentivo distante anni luce dal suo mondo ma non dal modo in cui manifestava i suoi sentimenti e le sue emozioni che sapevo ancora riconoscere sentendo la presunzione di essere io sola capace di captare ciò che non si osa verbalmente rivelare.
Ridere, mi fece una cartolina intestata ai: brutti, cattivi e alla Preside Rimini. La Preside Rimini era una donna over 50 con un brufolo incallositosi sulla guancia sinistra vittima di un manierismo che lei usava ogni volta che pensava a qualcosa: lo pizzicava non solo quando si interroga tra se e se, ma anche quando qualcuno le parlava o mentre lei elaborava mentalmente la risposta per quella conversazione. La Rimini, così da noi tutti chiamata, non arrossiva per timidezza, ma la gradazione colorita del suo volto che andava dal roseo al bordeaux, indicava il suo grado di tolleranza o di accordo/disaccordo verso la persona o il soggetto del discorso mentre il brufolo le rimaneva bianco; questa sua peculiarità per i ragazzi, il personale non docente e docente era tema per le più sarcastiche battute. Tutt'altro personaggio era la direttrice Bianca della colonia di Premeno la quale mi regalò con tanto di dedica una cartolina da lei stessa aveva creato durante l'ora di laboratorio in cui si imparavano piccoli lavori come: costruire ed usare un telaio, i cestini di vimini e lo sviluppo delle cartoline. Quando da bambina andavo in colonia aspettavo con ansia di ricevere posta da miei genitori, alcune delle loro cartoline avevano effetti speciali perchè inclinandole creavano il movimento dei personaggi raffigurati, oppure c'erano personaggi umoristici che muovevano le pupille degli occhi. Ma la maggior parte delle cartoline spedite da mia madre provenivano dai luoghi delle sue vacanze di coppia, fatte così sia per le scarse finanze, ma anche per avere un po’ d'intimità: noi vivevamo nella grande famiglia con tanto di nonna e zii paterni non ancora sposati. Verso la fine del mese di colonia per tutti i bambini, anche per quelli a cui nessuno scriveva mai, ricevevamo una cartolina dal Direttore Colombini. Quando ricevetti la sua prima cartolina ero emozionatissima perché mi avevano chiamata per la prima volta a ritirare la posta. Avevo 6 anni e non conoscendo il mittente ebbi un po’ paura, poi un altro bambino più grande mi spiegò che era una cosa importante ricevere la cartolina dal Direttore e riuscì a farmi sentire tale. Nei 6 anni successivi le cartoline del Direttore Colombini scoprii erano sempre uguali, sia nel testo che nell'illustrazione: cuccioli di animali. Negli anni mi abituai a questo rituale che preannunciava la fine della vacanza e che, a seconda di quanta posta avessi ricevuto, lo rendeva più o meno gradito. Mia madre aveva intuito l’amarezza provata quando le raccontai che, a differenza di molti altri bambini, avevo ricevuto solo la cartolina del Direttore e forse l’avrò fatta sentire un po' in colpa per non essere nei suoi pensieri. Fatto sta che negli anni successivi non solo ricevetti le cartoline ma anche qualche lettera con il cuore che batteva a mille per la felicità. La ditta di mio padre aveva altri 3 punti positivi: l'Agruvit: multivitaminico all'arancia di cui ne andavo ghiotta; la giornata di natale con festa, regali e un’opportunità di incontrare gli amici della colonia che ahimè non erano mai quelli che cercavo; e la dotazione di cancelleria per 1 anno scolastico ad ogni anno della scuola dell’obbligo: era così assortita che durò anche nella scuola superiore.
Nella raccolta trovai anche la cartolina auto-inviatami in occasione della prima gita scolastica a Folgaria in prima superiore. Cinque giorni in montagna, nessun museo, nessuna attività scolastica, solo socializzare. Terapeutico! La mia classe era davvero un gruppo affiatato, rispettoso dei diversi interessi e delle diverse realtà. Beh una vera bella classe! Ricordo che un anno facemmo una bigiata di classe. Marinammo la scuola in 10, 7 rimasero a casa per solidarietà e 5, le più diligenti, andarono a lezione e con loro si ruppe un po’ della nostra affinità. Fummo scoperte non perché gli insegnanti avevano segnalato le troppe assenze (17 su 22) ma per la telefonata di una madre ammalata che richiedeva il sostegno della figlia, la quale era con me a Bergamo. Il giorno dopo la rappresentante di classe fu chiamata in presidenza a nome di tutte essendo anche lei tra le assenti per aver marinato la scuola. Lei consegnò per noi le giustificazioni del giorno di assenza che ovviamente non potevano essere per “motivi famigliari” o “indisposizione” avendoci scoperto, per cui scrivemmo la verità. All’uscita dal colloquio in Presidenza non era per niente preoccupata, anzi divertita raccontò: “....alla fine la Preside mi disse - Sapevo che eravate una classe particolare ma non avrei mai pensato fino a questo punto. Che non si ripeta più - rideva!” Nella mia vita ho potuto sperimentare più di una volta che la verità, per quanto possa essere scomoda o dolorosa, non diventa nemica se è detta lealmente ed a volte mi è servita per affrontare qualcosa che non si sarebbe risolto facilmente, a volte ha chiarito supposizioni errate che erano state create per rispondere ad un altra bugia che mi aveva portato verso lo scatafascio.

Ah La mia sporca e fangosa cantina! Il luogo in cui ho depositano puzzle di vita nella speranza di non perderli, ma nel perderli mi diede la gioia di ritrovarli. © giuseppina porro